lunedì 12 marzo 2018

Sabato 13 maggio 2017: arriva una nuova stella, inizia un altro cammino!

E' sabato mattina e Giulietto è ricoverato al San Giovanni da circa una settimana. Da quando era peggiorato e non si capiva cosa avesse. Di fondo, visto il suo stato e la necessità continua di avere una persona vicino che lo aiutasse praticamente in ogni cosa, ero contrario ad un suo ricovero, ma ad un certo punto era diventato indispensabile. Mi alzo presto, dato che dormo pochissimo da molti giorni. Oltretutto di lì a qualche giorno ho i quiz di un concorso per cui sto studiando come un matto da tempo. 


C'è il sole, ma la giornata è buia. Fin dal ricovero i medici dell'ospedale mi avevano detto che c'era un'infezione in corso che stavano curando con antibiotici, ma la situazione era critica. Mi avevano parlato di “cachessia”, cioè di un progressivo decadimento degli organi. Una delle tante volte in cui avevo chiesto notizie avevano utilizzato il termine “nonnino” per riferirsi a mio padre. Lì per lì ci ero rimasto male, ma era la verità. In sei mesi aveva avuto un decadimento eccessivo. Si era invecchiato talmente tanto che dimostrava molto più dei suoi settantaquattro anni. 

Ogni volta che io e mio fratello andavamo a parlare con i medici, vedevo i loro volti, il loro rapportarsi nei nostri confronti e non faceva presagire nulla di positivo. Proprio il giorno prima avevo chiesto ai medici del reparto di farmi riportare mio padre a casa, ma si erano opposti perchè troppo pericoloso. Aveva bisogno di cure che solo in ospedale gli avrebbero potuto dare e se lo avessi portato via, secondo loro, lo avrei ucciso. Me lo vietarono e siccome non sono un medico, non mi opposi. 

Comunque quel sabato riesco a studiare un poco, anche se la testa va altrove. Non so come ma riesco a trovare la forza. Verso le undici e mezzo mi inizio a preparare per poi andare a trovare Giulietto. Arriva una telefonata. E' l'ospedale. Mi dicono di andare subito perchè Giulietto si è aggravato. Chiamo Valentina e mio fratello dicendogli di correre. Ovviamente Emiliano fa delle domande e vorrebbe delle risposte, ma non le ho. O meglio: ne conosco una ma non gliela voglio dare. Il mio cuore mi dice che Giulietto se ne sta andando. 
Salgo sullo scooter ed inizio a piangere per tutto il breve tragitto che mi separa dall'ospedale. 

Arrivo trafelato da Giulietto che è attaccato all'ossigeno ed ai vari macchinari. Ha gli occhi chiusi e respira a fatica, ma percepisce che sono con lui. La sua mano destra, che non lascio un attimo, è rossa e gonfia. Sono disperato. Il personale dell'ospedale capisce la situazione e mi stanno vicino in molti. Arrivano in rapida successione mio fratello, Valentina e mia cognata. Poi Agnese, la sua assistente. Viene chiamato il prete per l'estrema unzione. Giulietto alza il braccio e si fa il segno della croce. Io piango come un disperato, ma trovo la forza di non lasciarlo un attimo anche se, a dire il vero, è lui che sta lasciando me. Mi sta lasciando senza un padre, un amico ed un figlio, dopo che eravamo riusciti a costruire un rapporto praticamente inesistente

Nel giro di un'ora dal mio arrivo, si spegne. Tre sospiri e lascia la mia mano. Se ne va. Mi sento spaesato. Non ho la forza di fare nulla se non piangere. Ringrazio solo che mi abbia aspettato. Abbiamo iniziato e finito insieme un lungo viaggio cominciato nel dicembre del 2005. C'è una nuova stella che riuscirò a vedere sempre anche quando le nubi saranno grigie e pesanti. Il 13 maggio del 2017, intorno alle ore 14, per me inizia un altro viaggio, forse ancora più duro. Dovrò cercare di dare senso a tutto quanto accaduto, di trasformare quell'enorme dolore che mi porto sempre appresso in qualcosa di positivo.


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