mercoledì 5 settembre 2018

L'aneurisma cerebrale. Un nuovo approccio

Tecnicamente parlando, mio padre aveva una malformazione ad una vena cerebrale, che avrebbe potuto causare l'aneurisma in qualsiasi momento e sarebbe potuta essere rilevata con una tac effettuata con liquido di contrasto. I medici, però, non potevano conoscere tutto il percorso che portò mio padre all'aneurisma, anche se qui si esula da un campo prettamente scientifico, per entrare in quello dogmatico.

Dalla morte di mia madre, avvenuta nel 2001 per tumore ai polmoni e dopo un anno di agonia, nonostante fossero separati da tempo e facessero vite opposte, mio padre sembrò entrare in una spirale autodistruttiva. Fumava tre pacchetti di sigarette al giorno, beveva una decina di caffè, mangiava tanto e tutte le peggiori schifezze, eccetto lo yogurt all'ora di pranzo e dal venerdì, quando chiudeva l'attività professionale, andava avanti ad alcool in quantità industriali. Parliamo non di qualche bicchiere, ma di bottiglie intere di whisky.....
A ciò aggiungiamo il notevole stress causato da una situazione familiare pesante e da un'amichetta in particolare che, scoprimmo dopo, lo aveva ridotto sul lastrico.

All'epoca mio padre aveva sessantadue anni. Se avessi fatto io a trentacinque anni, per un paio di mesi soltanto, la vita che fece lui per quasi quattro anni, sarei scoppiato nel giro di breve tempo.

Siccome mi aspettavo che prima o poi sarebbe successo qualcosa di grave, iniziai a controllarne movimenti ed orari. Il giorno in cui ci fu l'aneurisma gli salvai la vita per mera casualità. Destino. Stavo tornando sul mio scooter a casa, dopo essere andato a svolgere gli adempimenti preliminari per l'esame da avvocato (consegna dei codici e riconoscimento), quando in mezzo alla strada mi fermò un suo amico stretto, dicendomi che sarebbe dovuto venire a studio da lui (che si trovava nello stesso palazzo in cui abitavamo) ed invitandomi a scendere per prendere un caffè tutti insieme. Tornai a casa, pranzai e mi misi a riposare, come fece anche mio padre che era solito scendere allo studio almeno mezz'ora prima che iniziasse l'attività. Quando vidi che non si era alzato, bussai alla porta della camera. Non rispose. Misi l'orecchio sulla porta e sentii un respiro profondo. Entrai di corsa e lo trovai nel letto girato. Pensai ad un infarto e provai con un massaggio cardiaco. In preda al panico chiamai immediatamente l'ambulanza.

Ognuno può trarre le considerazioni che vuole da questo racconto. A me e gli amici più stretti, che conoscevano la sua storia, è parso ovvio che l'aneurisma cerebrale sia stato causato dal processo autodistruttivo a cui mio padre era andato incontro.

Scampato il pericolo, passato qualche tempo in ospedale dopo l'operazione al cervello, capii subito che se non avesse approcciato alla vita in maniera totalmente differente rispetto a prima, non sarebbe potuto tornare quello di prima, almeno per quanto riguarda l'autosufficienza.
Ero conscio del fatto che in qualche modo l'aneurisma avrebbe lasciato dei segni non solo fisici, ma anche psicologici. Ma non compresi immediatamente quali.
Non appena mio padre mio padre iniziò ad avere piena coscienza di se e del suo stato, iniziai ad avere delle avvisaglie su come si sarebbe approcciato in questa nuova vita. E non furono positive.....

Fu immediatamente informato di cosa era successo e dello stato in cui si trovava, ma a lui non sembrò interessare più di tanto, così come non fece domande (almeno che ricordi io) della situazione lavorativa. Chiedeva solo di noi familiari e delle persone più strette.

Considerai seriamente l'idea che non sarebbe mai più tornato ad una vita autonoma nonostante, come ci dissero dopo un approfondito esame neurologico, i problemi di mobilità riguardavano solo i piedi.

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